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"...Giunsi a Reggio,

mi fermai un poco sulla spiaggia di Scilla,dove appresi le antiche leggende, la navigazione avventurosa dell'astuto Ulisse, i canti delle sirene, e l'insaziabile avidità di Cariddi..."

(San Girolamo, Apolog. Adv. Ruffin. - libro 3)

… a forma di Aquila…

… un’antica leggenda narra che uno stormo di aquilotti mentre volava si frappose fra il sole e Giove, intanto che egli contemplava l’immagine della ninfa prediletta, ed infastidito scagliò i suoi fulmini contro gli audaci aquilotti. Essi, mutati in cagne guailanti, precipitarono nel mar Tirreno atterrendo tutti coloro che navigavano quei luoghi.

 

Ritornata l’aquila madre e trovando vuoto il nido posto sull’Olimpo, addolorata chiese al potente dio di poter morire di dolore o di poter andare alla ricerca dei suoi aquilotti in modo da vivere vicino ad essi. Giove, accogliendo la preghiera dell’aquila, le concesse di lasciare l’Olimpo.

Guidata dall’istinto materno, si diresse verso il luogo in cui era precipitato lo stormo. Ormai stanca per la lunga e faticosa ricerca, mentre iniziava la discesa per riposarsi, scorse nel mare sottostante la presenza dei suoi piccoli. Nel gioire ed attribuendo a se stessa il merito di averli ritrovati, segretamente in cuor suo si spregiò del dio.

Ma il potente Giove offeso ed indispettito per il mancato riconoscimento del suo aiuto, punì con un fulmine la superba madre che si adagiò sulle sponde tirrene. Nel toccare terra, la testa divenne un impervio scoglio e la nidiata di aquilotti si tramutò in altrettanti scogli acuminati mantenendo il terribile latrato delle cagne che unito all’urlo di dolore della madre formasse uno spaventoso suono per ammonire quanti osavano contraddirlo.

A detto luogo gli fu dato il nome di Scilla, posto all’imboccatura dello stretto di Messina, e quasi come sentinella assunse le sembianze di un’aquila. Il capo eretto verso l’alto, il becco proteso tra la forte scogliera per rompere le correnti e sfidare i marosi nei giorni di tempesta. Il resto del corpo e la coda furono trasformati in un altopiano proteso su un mare viola e limpidissimo, le due ali si trasformarono in due anse pronte ad accogliere i naviganti in cerca di rifugio.

 

...Mostro marino...,

...figlia di Forco e Creteide, Scilla era una ninfa che viveva felice sul " lido italico di fronte a Messina". Di lei si innamorò perdutamente Glauco giovane e forte pescatore, divenuto dio marino per metà uomo e per metà pesce, dai capelli di verdi alghe e dalle braccia azzurre.

Il suo strano aspetto incuteva timore alla bella fanciulla che fuggiva a rifugiarsi sui vicini colli. Glauco accortosi del suo amore non corrisposto si rivolse alla maga Circe, figlia del Sole, perché lo aiutasse, ma nulla potè ottenere essendo lei stessa innamorata del giovane dio. Il suo forte odio per la bellissima rivale la indusse a sbarazzarsi di lei, avvelenando con potenti veleni la grotta dove Scilla era solita recarsi e sibilando tre volte nove incantesimi con strane parole. Quando la fanciulla ignara entrò nella grotta subito si trasformò in un orrendo mostro marino dal busto di donna, dal ventre di latranti lupi e dalle code di pesce. Ella rimase lì e quando potè si vendicò di Circe divorando i compagni di Ulisse.